Estratti
Il
Museo Archeologico Regionale di Camarina è situato nel territorio comunale di
Ragusa e rappresenta uno dei più importanti siti archeologici della Sicilia. L’insieme
d’edifici che ospitano il Museo è costituito da un caseggiato rurale edificato
verso la fine del XIX secolo, dove, anticamente, era situato il santuario di
Atena, riportato alla luce da Paolo Orsi. Tuttora è visibile un tratto del muro
meridionale del naos e l’adyton dell’edificio sacro.
La
prima sala ospita le collezioni subacquee. I reperti più antichi esposti in
questa sala appartengono ad un relitto, individuato a Punta Braccetto e datati
al VI secolo a.C. In questa sala sono esposti anche i pesi – campione rinvenuti
nel tratto di mare antistante l’acropoli dell’antica città di Camarina, e due
statuette in bronzo: una (III – II secolo a. C.) raffigura Arpocrate; l’altra
(I secolo d.C.), raffigura Afrodite. Dall’approdo bizantino di Caucana provengono
una testa femminile in marmo bianco, della prima età imperiale, ed un piattello
in argento con l’iscrizione di produzione bizantina. Concludono il percorso
espositivo di questa sala i ritrovamenti relativi al relitto di una galea
risalente all’età medievale. Da questa sala si accede all’esposizione delle
anfore. Questa sala è articolata su due piani: nel primo piano si trovano i
reperti di età arcaica provenienti dalla necropoli del Rifriscolaro, nel
secondo piano quelli di età classica provenienti dalla necropoli di Passo
Marinaro. Queste anfore, dopo essere state usate per trasportare vino ed olio,
furono reimpiegate nelle sepolture ad enchytrismos. L’esposizione delle
anfore è completata da quelle di età tardoromana provenienti da Caucana. Le
sale successive raccolgono i reperti di età preistorica (paleontologici e
dell’età del bronzo), la ceramica arcaica di Camarina ed i reperti relativi ai
culti di Camarina. Il gruppo più consistente dei reperti esposti in questa sala
è costituito dalle statuette fittili riportate alla luce da Paolo Orsi nel
1896, all’interno di un ambiente messo in relazione con un Persephoneion.
Nella sala ovest sono esposti i reperti risalenti all’età classica, ellenistica
e romana, mentre in una vetrina si trovano le laminette in piombo rinvenute
nelle fondazioni dell’Athenaion. I reperti provenienti dalla chora
di Camarina e dalle necropoli d’età classica ed ellenistica chiudono
l’esposizione. Attualmente si trova in fase di progettazione un ampliamento
degli spazi espositivi del Museo, che permetterà sia un’accurata esposizione
dei reperti archeologici sia un approfondimento delle fasi di Camarina e del
suo territorio. Per le prossime attività del Museo, il Direttore, dott. Lorenzo
Guzzardi, precisa che sarà approfondita la storia delle ricerche e delle
attività di tutela nel Sud – Est della Sicilia.
I
rinvenimenti egeo-micenei in Sicilia, risalenti al Bronzo Antico, mostrano
delle differenze soprattutto quantitative. Nella zona sud-occidentale
dell’isola, nel sito di Monte Grande, in provincia di Agrigento, sono stati
rinvenuti grandi contenitori di ceramica egea, o di tipo egeo, e cipriota,
d’utilizzo domestico o da trasporto, riferibili al Meso Elladico; vi è anche
ceramica micenea, egea, o di tipo egeo, databile al Tardo Elladico I-II. Da
ricordare, inoltre, la presenza di modellini fittili di capanna o di tempietto,
che trovano confronti in area minoica e cipriota; hanno, altresì, analogie con il Mondo
Minoico, una pietra “talismanica” di agata, decorata con motivi a spirale e a
meandro, e una piccola testa in terracotta, quasi certamente, di divinità. Tra
gli altri manufatti d’ispirazione egea ricordiamo un modellino fittile di
tempietto e un torello in terracotta, rinvenuti nella stipe
votiva della necropoli del sito del Ciavolaro, in territorio di Ribera.
Recenti indagini condotte in località Marcatazzo, alle pendici di Monte Grande,
hanno evidenziato l’esistenza di strutture rettangolari di grandi dimensioni,
divise all’interno in due parti, le quali lasciano ipotizzare una probabile
derivazione da un modulo architettonico di tradizione egea. Questi ritrovamenti
sono, quasi certamente, la prova di rapporti diretti con l’area egeo-micenea,
determinati dalla possibilità di reperire materie prime e di proseguire verso
occidente, probabilmente alla ricerca dei metalli. Per quanto riguarda la
Sicilia orientale non si hanno testimonianze di contatto con l’ambiente
egeo-miceneo numerose quanto quelle osservate in territorio di Agrigento.
Pertanto, si può ipotizzare che i pochi manufatti presenti in questa zona
orientale dell’isola non sono frutto di contatti diretti con il Mondo
Egeo-Miceneo, bensì si tratterebbe di oggetti acquisiti attraverso la
mediazione delle isole Eolie. Infine, si può ipotizzare che l’indifferenza dei
“mercanti” egei per la Sicilia orientale fu determinata sia dall’assenza di
particolari risorse naturali, sia dalla posizione geografica, che non era
consona per una rotta che puntava verso la zona settentrionale del versante
tirrenico e verso occidente.
In
questo contributo tra le varianti tipologiche attestate nell’architettura
funeraria del Bronzo Antico siciliano è presa in esame in particolar modo
quella più vistosa e rappresentativa. Si tratta di tombe a grotticella
artificiale, la cui visibilità “architettonica” all’interno della necropoli è
intenzionalmente accresciuta mediante la monumentalizzazione del prospetto
scandito da una serie di lesene risparmiate o da veri e propri pilastri
isolati. Si è tentato di cogliere aspetti specifici inerenti la sfera cultuale
castellucciana e di definire il contesto sociale e religioso di cui sono
espressione. Per quanto riguarda presunti modelli architettonici allogeni di
riferimento, se ancora labili risultano i termini di confronto con il
megalitismo e l’ipogeismo sardo, più stringenti appaiono, pur con le doverose
cautele dal punto di vista cronologico, le affinità con monumenti maltesi.
Il
territorio oggetto del presente lavoro comprende la tavoletta IGM: F. 274 II NO
(Belvedere).
L’area è caratterizzata da numerosi e
importanti stanziamenti, favoriti sia dai molteplici approdi lungo la costa,
sia dall’abbondanza di corsi d’acqua; sebbene qualche area sia stata
interessata da attività di ricognizione e da campagne di scavo, la maggior
parte del territorio, pur essendo ricco di testimonianze archeologiche, è ancora
inesplorata. Questa prima fase della ricerca, ponendosi come obiettivo la
raccolta del materiale edito, per impostare successivamente un progetto di
ricognizione, ha portato alla compilazione di una carta archeologica
provvisoria contenente le scoperte avvenute sino ad oggi, nell’area da noi
presa in esame. Dei vari siti, si è redatta una scheda che contiene la natura
del ritrovamento (necropoli, aree di frammenti fittili, insediamenti rupestri),
il nome della località, il Comune di appartenenza, la descrizione del sito,
così come viene fornita da chi lo ha individuato o scavato, e la bibliografia
relativa. L’articolo è suddiviso in tre parti: la geomorfologia del territorio, che presenta le caratteristiche
morfologiche dell’area; la carta
archeologica, con le schede dei siti; e cenni
sulla viabilità antica, con l’indicazione dei tre principali assi viari (la
via Pompeia, la via Selinuntina e la via Helorina), che collegavano Siracusa con il
resto della Sicilia. L’arco cronologico interessato da questa indagine va dalla
preistoria fino all’inizio dell’età medievale, con l’eccezione delle chiese
rupestri alto-medievali, che, costituendo un tratto caratteristico
dell’archeologia del territorio in questione, verranno considerate parte
integrante della ricerca. Va detto anche che la non ancora superata
impostazione “ellenocentrica” degli studi di archeologia siciliana ha reso il
lavoro approssimativo e alquanto superficiale per quello che attiene al periodo
romano.
Il
Torracchio di Curcuraggi è una collina, sita in un’ansa del corso del fiume Marcellino.
Solo a partire dagli anni ’60 sono state indagate le numerose sepolture
ricavate sulle pareti rocciose che costeggiano il corso del fiume Marcellino e
del Belluzza. Le tombe situate in contrada Pantalone di sotto si inquadrano
nell’età del Bronzo antico (facies di Castelluccio), quelle situate in
contrada Fossa, Torracchio, Pantalone di sopra e Pantalone di sotto in età
protostorica. Alcune delle sepolture dell’età del Bronzo Antico sono state
riutilizzate in età protostorica. Di grande interesse sono i corredi rinvenuti
all’interno delle sepolture, i quali hanno restituito oltre a ceramica di
produzione locale d’ottima fattura, importazioni di ceramica greca tra le più
antiche rinvenute in Sicilia come la coppa a “chevrons” (prima metà VIII sec.
a. C.) e la coppa a semicerchi penduli (seconda metà VIII sec. a. C.). La
notevole documentazione proveniente dalla necropoli protostorica non è
suffragata dal rinvenimento di strutture relative ad un insediamento
contemporaneo ad essa. Basandosi sia sulle caratteristiche topografiche del
promontorio, sia sulle evidenze archeologiche riscontrate sull’area presa in
esame, lo sperone roccioso che costituisce il Torracchio di Curcuraggi si
presta all’ipotesi di situare proprio sulla sua sommità l’insediamento di VIII
sec. a. C. La posizione ottimale sia per quanto riguarda l’aspetto difensivo
che la possibilità dell’immediato accesso al fiume rendeva la collina del
Torracchio il luogo più adatto per stabilire un insediamento. In seguito a
ricognizioni, si è riscontrata la numerosa presenza di frammenti ceramici
visibili in superficie, la cui datazione corrisponde a quella già attribuita ai
corredi funerari della necropoli protostorica. Per rendere certa
l’identificazione del Torracchio di Curcuraggi come sede dell’insediamento
proto-storico naturalmente sarebbe necessaria un’indagine che non sia solo di
superficie e che investigasse l’intera area della valle del Marcellino per
poter comprendere in maniera approfondita le dinamiche insediative di questa
zona della Sicilia orientale che acquista ulteriore importanza se inserita
nelle vicende legate a Megara Hyblaea.
L’esame
ancora incompiuto per mancanza di scavi recenti sui culti delle sub colonie di
Siracusa ha fatto emergere però un dato sostanziale interessante: la presenza
in quasi tutte di alcuni culti ricollegabili a Corinto tramite la metropolis.
Siracusa trasferì nelle proprie sub-colonie d’età arcaica alcuni dei culti
principali ereditati da Corinto: Apollo, Artemide, Afrodite e di Demetra e
Kore. Quest’ultimo insieme a quello pandorico di Athena (importato forse da
Gela) fu appoggiato dalla dinastia dei tiranni Dinomenidi, il capostipite della
quale era stato sacerdote delle Dee nel culto ctonio. Il culto di Zeus invece
pur presente a Siracusa non è testimoniato nelle sue sub-colonie. Alcune
osservazioni però sono da fare: l’esistenza di stretti legami fra Siracusa e le
altre colonie corinzie in Epiro ed Etolia (Ambracia, Oniadai) e Lokri Epizefiri
è testimoniata dalla compresenza di culti corinzi-locresi che vengono poi
diffusi nelle sub-colonie siceliote. La forte influenza religiosa di Gela da un
lato e il sostrato indigeno dall’altro hanno sicuramente contribuito alla
formazione dei pantheon locali. La tipologia di questi culti d’altronde, è
costituita sia da un pantheon olimpico che da un più piccolo ma variegato mondo
di divinità minori (ninfe, fiumi, etc.). Nuovi scavi nelle vaste aree urbane
ancora sepolte e nell’immediato circondario chiariranno ulteriormente la
complessa struttura del pantheon di queste piccole schegge dell’Ellenismo
trapiantate in terra sicula.
Nei
santuari dedicati a Demetra e Kore si praticavano i riti alle dee, riservati
alle donne che si riunivano in edifici isolati e praticavano una vera e propria
cerimonia con sacrifici di porcellini, pasti rituali e, al termine, la
deposizione sotterranea degli avanzi del pasto e delle offerte votive.
Attributi
caratteristici delle due dee, con chiaro riferimento ai riti notturni ad esse
dedicati, sono la fiaccola, il porcellino e i cesti di offerte o un vassoio con
frutta e prodotti da forno, oggetti di culto recati dalle offerenti e
rappresentati sia nella produzione vascolare (attica e siceliota) sia nelle
statuine fittili spesso rinvenute in quantità notevole all’interno di stipi
votive legate al culto demetriaco. Nel sito di Eloro il culto dedicato alle due
dee sembra avere una grandissima popolarità, tale da far coesistere, per tutto
il IV secolo a. C., ben due luoghi sacri al culto demetriaco ed in particolare,
come si deduce dagli ex-voto provenienti da entrambi, al rito tesmoforico.
Nell’ambito della diffusione del culto demetriaco in Sicilia, dunque, Eloro
riveste un ruolo importante, almeno per la Sicilia orientale, per niente
offuscato dall’estrema vicinanza con altri luoghi di culto dedicati alle due
divinità, come il santuario di Piazza della Vittoria a Siracusa.
La
presente relazione vuole offrire un quadro aggiornato circa le importazioni dei
vasi attici nei centri anellenici della Sicilia occidentale (aree
elimo-punica), contrassegnati negli elenchi del Beazley solamente da sette
unità, salite alle duecentosettantotto dello stato attuale delle ricerche.
La
trattazione prende le mosse dal ruolo svolto dalla Cattedra di Archeologia e
Storia dell’Arte Greca e dall’Archivio Ceramografico dell’Università di
Catania, entrambi diretti dal prof. Filippo Giudice, in relazione ad un
rinnovato impulso agli studi sul fenomeno storico-commerciale della ceramica
attica figurata. E’ sottolineata, successivamente, l’importanza assunta dai
centri indigeni riguardo alla possibile presenza in essi dei pittori/gruppi
pittorici non “riscontrati”, invece (perlomeno non ancora), nelle colonie
costiere loro corrispondenti; nel nostro caso è Selinunte, la grande colonia
megarese, ad aver legato le sue sorti politico-commerciali con quelle dei
centri anellenici dell’occidente siciliano. Si prosegue, infine, con l’analisi
specifica delle realtà pittoriche, tipologico-formali e raffigurative dei vasi
presenti nei siti considerati, distribuiti per ciascun venticinquennio dei due
secoli (VI-V a. C.) della grande stagione ceramografica ateniese.
La
città sicula Herbessos conobbe il momento di maggior splendore nel periodo
compreso tra il 357 a. C. ed il periodo successivo al 341 (o 338) a. C., come
dimostrato dalla produzione monetale, dalle analisi metrologiche e in
particolar modo dalle riconiazioni. La sua localizzazione è da porre
nell’attuale Montagna di Marzo, tra
Piazza Armerina e Barrafranca, in quanto il ritrovamento di monete nel sito
oltre alle somiglianze tipologiche la fanno crocevia tra Gela e Akragas. Alla
città sono attribuibili sette serie in bronzo e due nominali in argento, mentre
per l’oro non abbiamo attestazioni.
Di
difficile esegesi, specialmente nelle fasi precedenti la costruzione ieroniana,
tra il 238 a. C. e il 215 a. C., il teatro greco di Siracusa subì sostanziali modifiche
in età romana: venne infatti trasformato in un edificio teatrale tipicamente
romano con edificio scenico architettonicamente unito alla cavea, una ricca scenae
frons a più piani decorata da colonne, pulpitum a nicchie
semicircolari e rettangolari alternate, e due fossati per l’aualeum.
Ricchi marmi colorati abbellivano il pavimento dell’orchestra. Un portico
anulare colonnato ed una stoà ad L in summa cavea sono
attribuibili ad età romana piuttosto che a quella ellenistica. Le numerose
stratificazioni e le spoliazioni subite nel tempo spiegano le diverse
ricostruzioni date dagli studiosi dell’edificio scenico, che daterebbe comunque
al tardo I sec. o agli inizi del II d. C. Non c’è accordo nemmeno sull’ipotesi
che il teatro fosse stato luogo, in qualche determinata occasione, di ludi
anfiteatrali. Tra il III e il IV d. C. l’edificio fu poi adattato a kolymbetra
per tetimimi.
Conosciuto
e descritto da viaggiatori e letterati dei secoli passati, l’edificio in
contrada Vallone dei Bagni a Centuripe è certamente il più enigmatico dei resti
monumentali della città romana. Si presenta come un complesso formato da 5
absidi in successione asimmetriche, per una lunghezza di più di m. 30 ed
un’altezza di m. 8. A lungo si è discussa la funzione della struttura: alcuni
(Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari, Ansaldi, Libertini) lo
definiscono “bagno”, dunque considerandolo un complesso termale, altri (Houel,
Belvedere, Wilson con maggior cautela) “Ninfeo”. La funzione scenografica sulla
valle sottostante ed il confronto con i ninfei a facciata delle città dell’Asia
Minore sembrano avvalorare quest’ultima ipotesi. Cronologicamente la datazione
oscilla fra l’età Giulio Claudia e la metà circa del II d. C.
12. Giuseppina Sirena, La Guglia di Marcello: un monumento funebre nella campagna siracusana.
Tra
le numerosissime testimonianze archeologiche presenti nel territorio di
Siracusa è possibile ammirare i resti di un mausoleo di età romana, che si è
conservato quasi intatto nel corso dei secoli. La tomba sorgeva nei pressi
dell’antica strada che collegava Siracusa a Catania, ed è simile ad un’altra
che sorgeva nel territorio del comune di Carlentini.
I
confronti immediati sono con la cosiddetta “tomba di Terone” ad Agrigento e con
i mausolei della Tripolitania; con questi ultimi è addirittura possibile
stabilire un confronto onomastico. Difficile, se non impossibile, stabilire la
committenza dell’edificio.
13. Concetta Stefania Caputo,
L’acquedotto Cornelio di Termini Imerese.
A
Termini Imerese, in provincia di Palermo, si possono identificare i resti di un
monumento di grande importanza risalente ad epoca romano-imperiale: si tratta
dell’acquedotto Cornelio, così chiamato per la presenza di un’iscrizione che fa
cenno a questo personaggio. L’acqua che scaturisce dalla sorgente veniva
raccolta mediante un sistema di captazione costituito da un serbatoio di
raccolta e da una vasca di decantazione; successivamente veniva incanalata in
un condotto (specus) che aveva
generalmente pendenza costante (censura
declivitatis), ma per attraversare le vallate veniva impiegato il sistema dei
sifoni. Ad intervalli regolari erano posti pozzetti d’ispezione e vasche di
decantazione. La tecnica utilizzata era quella dell’opus caementicium con paramenti in blocchetti di calcare locale. I
tubi grossi erano realizzati in terracotta, le condutture periferiche (fistulae) spesso in piombo. Non era
trascurata l’opera di impermeabilizzazione dei condotti, realizzata in opus signinum. Le considerazioni
tecniche farebbero risalire il monumento al II sec. d. C., riutilizzato fino
agli inizi dell’800.
Le
origini del cristianesimo nella Sicilia orientale e a Siracusa in particolare,
non possono ancor oggi essere stabilite con certezza. Gli Atti degli Apostoli
riferiscono che Paolo, durante il suo viaggio verso Roma, nella primavera del
61 d. C., si fermò a Siracusa per tre giorni. Per alcuni studiosi, la presenza
dell’apostolo, di per sé, testimonierebbe un fatto significativo per la nascita
del cristianesimo nella città. Tuttavia, fino all’VIII secolo non si rileva
negli autori ecclesiastici alcun cenno relativo all’origine apostolica della
chiesa siracusana. Sembra molto più probabile,
invece, che la religione cristiana sia giunta nell'isola seguendo le principali
rotte del commercio marittimo tra Oriente e Occidente. Le più antiche
testimonianze archeologiche ed epigrafiche che attestano la presenza del
cristianesimo in Sicilia risalgono all’inizio del III secolo e testimoniano
come il cristianesimo abbia attecchito, in origine, nelle città costiere della
Sicilia orientale, tra Catania e Siracusa. La crisi che dal tardo II secolo
cominciò ad intaccare l'unità dell'Impero e che costrinse a comunicazioni
ridotte e a movimenti ristretti, sembra aver agevolato, successivamente, un
processo di consolidamento del cristianesimo il quale, infatti, grazie ad
un'evangelizzazione meno estesa ma più intensa poté diffondersi nelle campagne
seguendo i percorsi secondari e le arterie minori che mettevano in
comunicazione i centri urbani costieri con le vaste zone dell'entroterra
rurale.
Restando
in attesa di uno studio adeguato che metta in luce l'intero corpus delle
iscrizioni siracusane, si considerano i rinvenimenti epigrafici provenienti dal
complesso della necropoli siracusana di Vigna Cassia. Partendo dall’analisi
delle caratteristiche testuali di tali iscrizioni, si evidenziano alcuni usi
epigrafici che possano fornire elementi utili per proporre una datazione del
materiale epigrafico in questione; in base all’esame dei formulari, non si
osserva un’omogeneità, piuttosto si possono riconoscere nuclei con
caratteristiche più arcaiche, risalenti alla fine del III secolo d.C., che
possono essere riconosciuti nel materiale proveniente dalla regione SE di San
Diego; accanto a questi, una buona parte delle iscrizioni sembra potersi datare
alla prima metà del IV secolo d. C., in considerazione anche di alcune
caratteristiche testuali quali la povertà di riferimenti alla provenienza
geografica ed alla attività lavorativa del defunto, che si fanno sempre più
frequenti dalla metà del IV secolo in poi. Altre iscrizioni, per contro,
presentano caratteristiche più recenti, come il sistema definito «moderno» di
conteggiare i giorni del mese in sequenza da uno a trenta, che farebbe pensare
ad una datazione alla seconda metà del IV secolo. Una datazione più alta sembra
confacente ad un gruppo di iscrizioni in cui ricorrono frequentemente diverse
formule elogiastiche ed espressioni d'affetto. Infine, il rinvenimento nel
vestibolo P di due iscrizioni con formulario piuttosto particolare potrebbe far
pensare ad una risistemazione edilizia intervenuta agli inizi del V secolo.
In
ultimo, occorre sottolineare come la lettura degli appunti di scavo di Orsi,
attualmente inediti, ha chiarito definitivamente il problema della compresenza di
elementi pagani e cristiani nella catacomba, sostenuta da alcuni studiosi. I
dati sulle condizioni di rinvenimento di due iscrizioni della catacomba di San
Diego chiariscono come le lastre con dedica agli Dei Mani sono da considerarsi
materiale riutilizzato e quindi non pertinente alle sepolture in questione.
La
carta archeologica della Sicilia paleocristiana si è arricchita, negli ultimi
decenni, di una notevole quantità di scoperte, non limitate esclusivamente alle
zone urbane. Soprattutto il territorio siracusano, il più vasto e di gran lunga
il meglio conosciuto, ha dimostrato di non avere ancora del tutto svelato il
suo mondo sotterraneo; ci riferiamo, in particolare, ai numerosi cimiteri
rurali disseminati nelle campagne, testimoni della penetrazione, in quest’area,
di vaste comunità cristiane che diedero vita ad una fitta rete di centri
dislocati prevalentemente lungo il sistema viario tardo-antico. È in tale
contesto che s’inseriscono queste nostre segnalazioni riguardo il territorio di
Priolo Gargallo, piccolo comune del siracusano situato fra i Monti Climiti e la
costa ionica, il cui studio va assumendo proporzioni sempre più ampie e meglio
definite, grazie alle scoperte avvenute in tempi recenti, rispetto al quadro
generale ipotizzato dall’archeologo trentino Paolo Orsi nel secolo scorso,
nonostante l’impossibilità di identificare, dal punto di vista storico, quale
sia stato questo centro di vita cristiana, di cui i numerosi sepolcreti
costituiscono una prova di indiscussa validità.
La Rotonda si presenta come una struttura a
pianta quadrata, coperta da una grande cupola estradossata. In essa si
inserisce una vasta sala circolare, del diametro di m. 11, con tre grandi
nicchie. L’edificio, che faceva parte in origine di un vasto complesso termale,
fu trasformato in seguito nella chiesa di S. Maria della Rotonda. Le ricerche,
seppure discontinue, sono valse a dimostrare l’originaria destinazione termale,
piuttosto che templare, del fabbricato. Soprattutto gli scavi archeologici
condotti nel secondo dopoguerra hanno
permesso di esplorare il monumento e l’area circostante. Dall’analisi delle
strutture dell’edificio si può tentare di ricostruire la sua complessa storia.
Non abbiamo trovato traccia del livello ellenistico-romano di cui parla il
Libertini. Alcuni dati tecnici suggeriscono l’appartenenza dell’edificio
termale ad una fase compresa tra il medio e il tardo impero. In età
medio-imperiale la struttura doveva essere ancora un frigidarium, solo in epoca tardo-imperiale, con la realizzazione
dell’impianto di riscaldamento ad ipocausto, l’edificio fu convertito in calidarium. Più difficile è stabilire il momento della
trasformazione delle terme in edificio cristiano. In questa fase furono colmate
le vasche all’interno delle tre nicchie maggiori, lasciando sussistere i
parapetti e facendo poggiare sull’orlo di essi il nuovo pavimento; la nicchia
di settentrione fu trasformata radicalmente creando un presbiterio e un’abside.
È possibile che la trasformazione in chiesa della Rotonda sia da ascrivere alla
rinascita bizantina in età normanna.
Senza dubbio l’esecuzione del complesso ciclo di affreschi che decorava le
pareti della chiesa, di cui poco ora rimane, è inquadrabile nel XIII secolo, e
intorno alla stessa epoca risale la trasformazione dell’apertura ovest in un
arco a sesto acuto.
Il
presente lavoro tenta di fornire un resoconto sulle emergenze cimiteriali
alto-medievali di Siracusa, cercando di portare nuovi dati dallo spoglio
critico della bibliografia e delineando, con le altre evidenze cimiteriali
urbane della Sicilia sud-orientale (Cittadella di Noto e Kaukana), un quadro
preliminare sul fenomeno cimiteriale alto-medievale dell’area iblea. Le
deficienze incontrate nel corso dello studio, causate dalla presenza diffusa di
studi datati e di grandi carenze teoriche e metodologiche nello studio dei
cimiteri, hanno consegnato oggi una documentazione insufficiente e
frammentaria. Si è comunque tentata una classificazione dei cimiteri (ambiente
urbano, suburbano ed extraurbano) e una cronologia del loro utilizzo, con lo
scopo di acquisire dati su problemi specifici come l’ingresso delle tombe in
città o la continuità fino al medioevo delle aree sepolcrali di età classica.
Mario
Mentesana (1909-1985), ferrarese di nascita, trascorse ad Augusta, in Sicilia,
gli ultimi trent’anni della sua vita. Spirito acutissimo e critico, fu da
sempre interessato alle problematiche inerenti alla storia e alla preistoria
del territorio della sua città di elezione. L’articolo si propone di portare a
conoscenza degli studiosi il suo contributo, costituito da numerose
pubblicazioni e scoperte, per le quali ebbe la nomina di Ispettore Onorario ai
Monumenti dal 1965 al 1973. Dopo qualche breve cenno biografico vengono
delineate le principali scoperte (villaggio e tomba del Neolitico alla Gisira,
stazione protostorica del Vallone Maccaudo, giacimento del Paleolitico
Superiore di Monte Amara, stazione neolitica di Campolato, castelliere su
sperone roccioso sul fiume Marcellino) e localizzazioni (necropoli di
Muragliamele, villaggio fortificato del Petraro, giacimenti del Pleistocene a
S. Cusumano, riparo di Punta Castelluzzo) che rimangono ancora oggi degli
importanti punti di riferimento per lo studio della preistoria siciliana. Sono
segnalati i principali ritrovamenti, gli scavi e le più rilevanti
pubblicazioni, in particolare gli articoli apparsi sul Notiziario Storico di Augusta
(dal 1967 al 1987) e il volume Storia
di Brùcoli (1979). Il suo contributo venne giustamente apprezzato da Luigi
Bernabò Brea, Luigi Cardini, Georges
Vallet.