Estratti

 

 

  1. Giancarlo Germanà, Kamarina ed il suo museo.

 

Il Museo Archeologico Regionale di Camarina è situato nel territorio comunale di Ragusa e rappresenta uno dei più importanti siti archeologici della Sicilia. L’insieme d’edifici che ospitano il Museo è costituito da un caseggiato rurale edificato verso la fine del XIX secolo, dove, anticamente, era situato il santuario di Atena, riportato alla luce da Paolo Orsi. Tuttora è visibile un tratto del muro meridionale del naos e l’adyton dell’edificio sacro.

La prima sala ospita le collezioni subacquee. I reperti più antichi esposti in questa sala appartengono ad un relitto, individuato a Punta Braccetto e datati al VI secolo a.C. In questa sala sono esposti anche i pesi – campione rinvenuti nel tratto di mare antistante l’acropoli dell’antica città di Camarina, e due statuette in bronzo: una (III – II secolo a. C.) raffigura Arpocrate; l’altra (I secolo d.C.), raffigura Afrodite. Dall’approdo bizantino di Caucana provengono una testa femminile in marmo bianco, della prima età imperiale, ed un piattello in argento con l’iscrizione di produzione bizantina. Concludono il percorso espositivo di questa sala i ritrovamenti relativi al relitto di una galea risalente all’età medievale. Da questa sala si accede all’esposizione delle anfore. Questa sala è articolata su due piani: nel primo piano si trovano i reperti di età arcaica provenienti dalla necropoli del Rifriscolaro, nel secondo piano quelli di età classica provenienti dalla necropoli di Passo Marinaro. Queste anfore, dopo essere state usate per trasportare vino ed olio, furono reimpiegate nelle sepolture ad enchytrismos. L’esposizione delle anfore è completata da quelle di età tardoromana provenienti da Caucana. Le sale successive raccolgono i reperti di età preistorica (paleontologici e dell’età del bronzo), la ceramica arcaica di Camarina ed i reperti relativi ai culti di Camarina. Il gruppo più consistente dei reperti esposti in questa sala è costituito dalle statuette fittili riportate alla luce da Paolo Orsi nel 1896, all’interno di un ambiente messo in relazione con un Persephoneion. Nella sala ovest sono esposti i reperti risalenti all’età classica, ellenistica e romana, mentre in una vetrina si trovano le laminette in piombo rinvenute nelle fondazioni dell’Athenaion. I reperti provenienti dalla chora di Camarina e dalle necropoli d’età classica ed ellenistica chiudono l’esposizione. Attualmente si trova in fase di progettazione un ampliamento degli spazi espositivi del Museo, che permetterà sia un’accurata esposizione dei reperti archeologici sia un approfondimento delle fasi di Camarina e del suo territorio. Per le prossime attività del Museo, il Direttore, dott. Lorenzo Guzzardi, precisa che sarà approfondita la storia delle ricerche e delle attività di tutela nel Sud – Est della Sicilia.

 

 

  1. Valerio Amata, Testimonianze egee-micenee nella facies di Castelluccio.

 

I rinvenimenti egeo-micenei in Sicilia, risalenti al Bronzo Antico, mostrano delle differenze soprattutto quantitative. Nella zona sud-occidentale dell’isola, nel sito di Monte Grande, in provincia di Agrigento, sono stati rinvenuti grandi contenitori di ceramica egea, o di tipo egeo, e cipriota, d’utilizzo domestico o da trasporto, riferibili al Meso Elladico; vi è anche ceramica micenea, egea, o di tipo egeo, databile al Tardo Elladico I-II. Da ricordare, inoltre, la presenza di modellini fittili di capanna o di tempietto, che trovano confronti in area minoica e cipriota; hanno, altresì, analogie con il Mondo Minoico, una pietra “talismanica” di agata, decorata con motivi a spirale e a meandro, e una piccola testa in terracotta, quasi certamente, di divinità. Tra gli altri manufatti d’ispirazione egea ricordiamo un modellino fittile di tempietto e un torello in terracotta, rinvenuti nella stipe votiva della necropoli del sito del Ciavolaro, in territorio di Ribera. Recenti indagini condotte in località Marcatazzo, alle pendici di Monte Grande, hanno evidenziato l’esistenza di strutture rettangolari di grandi dimensioni, divise all’interno in due parti, le quali lasciano ipotizzare una probabile derivazione da un modulo architettonico di tradizione egea. Questi ritrovamenti sono, quasi certamente, la prova di rapporti diretti con l’area egeo-micenea, determinati dalla possibilità di reperire materie prime e di proseguire verso occidente, probabilmente alla ricerca dei metalli. Per quanto riguarda la Sicilia orientale non si hanno testimonianze di contatto con l’ambiente egeo-miceneo numerose quanto quelle osservate in territorio di Agrigento. Pertanto, si può ipotizzare che i pochi manufatti presenti in questa zona orientale dell’isola non sono frutto di contatti diretti con il Mondo Egeo-Miceneo, bensì si tratterebbe di oggetti acquisiti attraverso la mediazione delle isole Eolie. Infine, si può ipotizzare che l’indifferenza dei “mercanti” egei per la Sicilia orientale fu determinata sia dall’assenza di particolari risorse naturali, sia dalla posizione geografica, che non era consona per una rotta che puntava verso la zona settentrionale del versante tirrenico e verso occidente.

 

  1. Giuseppe Terranova, Architettura funeraria del bronzo Antico nell’area iblea: due casi di studio.

 

In questo contributo tra le varianti tipologiche attestate nell’architettura funeraria del Bronzo Antico siciliano è presa in esame in particolar modo quella più vistosa e rappresentativa. Si tratta di tombe a grotticella artificiale, la cui visibilità “architettonica” all’interno della necropoli è intenzionalmente accresciuta mediante la monumentalizzazione del prospetto scandito da una serie di lesene risparmiate o da veri e propri pilastri isolati. Si è tentato di cogliere aspetti specifici inerenti la sfera cultuale castellucciana e di definire il contesto sociale e religioso di cui sono espressione. Per quanto riguarda presunti modelli architettonici allogeni di riferimento, se ancora labili risultano i termini di confronto con il megalitismo e l’ipogeismo sardo, più stringenti appaiono, pur con le doverose cautele dal punto di vista cronologico, le affinità con monumenti maltesi.

 

 

  1. Giovanni Perrotta, Appunti preliminari per la redazione di una carta archeologica del territorio compreso nella carta I.G.M. “Belvedere” (F. 274, II, NO).

 

Il territorio oggetto del presente lavoro comprende la tavoletta IGM: F. 274 II NO (Belvedere).

L’area è caratterizzata da numerosi e importanti stanziamenti, favoriti sia dai molteplici approdi lungo la costa, sia dall’abbondanza di corsi d’acqua; sebbene qualche area sia stata interessata da attività di ricognizione e da campagne di scavo, la maggior parte del territorio, pur essendo ricco di testimonianze archeologiche, è ancora inesplorata. Questa prima fase della ricerca, ponendosi come obiettivo la raccolta del materiale edito, per impostare successivamente un progetto di ricognizione, ha portato alla compilazione di una carta archeologica provvisoria contenente le scoperte avvenute sino ad oggi, nell’area da noi presa in esame. Dei vari siti, si è redatta una scheda che contiene la natura del ritrovamento (necropoli, aree di frammenti fittili, insediamenti rupestri), il nome della località, il Comune di appartenenza, la descrizione del sito, così come viene fornita da chi lo ha individuato o scavato, e la bibliografia relativa. L’articolo è suddiviso in tre parti: la geomorfologia del territorio, che presenta le caratteristiche morfologiche dell’area; la carta archeologica, con le schede dei siti; e cenni sulla viabilità antica, con l’indicazione dei tre principali assi viari (la via Pompeia, la via Selinuntina e la via Helorina), che collegavano Siracusa con il resto della Sicilia. L’arco cronologico interessato da questa indagine va dalla preistoria fino all’inizio dell’età medievale, con l’eccezione delle chiese rupestri alto-medievali, che, costituendo un tratto caratteristico dell’archeologia del territorio in questione, verranno considerate parte integrante della ricerca. Va detto anche che la non ancora superata impostazione “ellenocentrica” degli studi di archeologia siciliana ha reso il lavoro approssimativo e alquanto superficiale per quello che attiene al periodo romano. 


 

 

  1. Maria Giulia Morgano, Il Torracchio di Curcuraggi presso Melilli (Siracusa).

 

Il Torracchio di Curcuraggi è una collina, sita in un’ansa del corso del fiume Marcellino. Solo a partire dagli anni ’60 sono state indagate le numerose sepolture ricavate sulle pareti rocciose che costeggiano il corso del fiume Marcellino e del Belluzza. Le tombe situate in contrada Pantalone di sotto si inquadrano nell’età del Bronzo antico (facies di Castelluccio), quelle situate in contrada Fossa, Torracchio, Pantalone di sopra e Pantalone di sotto in età protostorica. Alcune delle sepolture dell’età del Bronzo Antico sono state riutilizzate in età protostorica. Di grande interesse sono i corredi rinvenuti all’interno delle sepolture, i quali hanno restituito oltre a ceramica di produzione locale d’ottima fattura, importazioni di ceramica greca tra le più antiche rinvenute in Sicilia come la coppa a “chevrons” (prima metà VIII sec. a. C.) e la coppa a semicerchi penduli (seconda metà VIII sec. a. C.). La notevole documentazione proveniente dalla necropoli protostorica non è suffragata dal rinvenimento di strutture relative ad un insediamento contemporaneo ad essa. Basandosi sia sulle caratteristiche topografiche del promontorio, sia sulle evidenze archeologiche riscontrate sull’area presa in esame, lo sperone roccioso che costituisce il Torracchio di Curcuraggi si presta all’ipotesi di situare proprio sulla sua sommità l’insediamento di VIII sec. a. C. La posizione ottimale sia per quanto riguarda l’aspetto difensivo che la possibilità dell’immediato accesso al fiume rendeva la collina del Torracchio il luogo più adatto per stabilire un insediamento. In seguito a ricognizioni, si è riscontrata la numerosa presenza di frammenti ceramici visibili in superficie, la cui datazione corrisponde a quella già attribuita ai corredi funerari della necropoli protostorica. Per rendere certa l’identificazione del Torracchio di Curcuraggi come sede dell’insediamento proto-storico naturalmente sarebbe necessaria un’indagine che non sia solo di superficie e che investigasse l’intera area della valle del Marcellino per poter comprendere in maniera approfondita le dinamiche insediative di questa zona della Sicilia orientale che acquista ulteriore importanza se inserita nelle vicende legate a Megara Hyblaea.

 

 

  1. Paolo Daniele Scirpo, Sui culti delle sub-colonie arcaiche di Siracusa.

 

L’esame ancora incompiuto per mancanza di scavi recenti sui culti delle sub colonie di Siracusa ha fatto emergere però un dato sostanziale interessante: la presenza in quasi tutte di alcuni culti ricollegabili a Corinto tramite la metropolis. Siracusa trasferì nelle proprie sub-colonie d’età arcaica alcuni dei culti principali ereditati da Corinto: Apollo, Artemide, Afrodite e di Demetra e Kore. Quest’ultimo insieme a quello pandorico di Athena (importato forse da Gela) fu appoggiato dalla dinastia dei tiranni Dinomenidi, il capostipite della quale era stato sacerdote delle Dee nel culto ctonio. Il culto di Zeus invece pur presente a Siracusa non è testimoniato nelle sue sub-colonie. Alcune osservazioni però sono da fare: l’esistenza di stretti legami fra Siracusa e le altre colonie corinzie in Epiro ed Etolia (Ambracia, Oniadai) e Lokri Epizefiri è testimoniata dalla compresenza di culti corinzi-locresi che vengono poi diffusi nelle sub-colonie siceliote. La forte influenza religiosa di Gela da un lato e il sostrato indigeno dall’altro hanno sicuramente contribuito alla formazione dei pantheon locali. La tipologia di questi culti d’altronde, è costituita sia da un pantheon olimpico che da un più piccolo ma variegato mondo di divinità minori (ninfe, fiumi, etc.). Nuovi scavi nelle vaste aree urbane ancora sepolte e nell’immediato circondario chiariranno ulteriormente la complessa struttura del pantheon di queste piccole schegge dell’Ellenismo trapiantate in terra sicula.

 


 

 

  1. Stefania Germenia & Daniela Leggio, Le dee della Terra: Demetra e Kore.

 

Nei santuari dedicati a Demetra e Kore si praticavano i riti alle dee, riservati alle donne che si riunivano in edifici isolati e praticavano una vera e propria cerimonia con sacrifici di porcellini, pasti rituali e, al termine, la deposizione sotterranea degli avanzi del pasto e delle offerte votive.

Attributi caratteristici delle due dee, con chiaro riferimento ai riti notturni ad esse dedicati, sono la fiaccola, il porcellino e i cesti di offerte o un vassoio con frutta e prodotti da forno, oggetti di culto recati dalle offerenti e rappresentati sia nella produzione vascolare (attica e siceliota) sia nelle statuine fittili spesso rinvenute in quantità notevole all’interno di stipi votive legate al culto demetriaco. Nel sito di Eloro il culto dedicato alle due dee sembra avere una grandissima popolarità, tale da far coesistere, per tutto il IV secolo a. C., ben due luoghi sacri al culto demetriaco ed in particolare, come si deduce dagli ex-voto provenienti da entrambi, al rito tesmoforico. Nell’ambito della diffusione del culto demetriaco in Sicilia, dunque, Eloro riveste un ruolo importante, almeno per la Sicilia orientale, per niente offuscato dall’estrema vicinanza con altri luoghi di culto dedicati alle due divinità, come il santuario di Piazza della Vittoria a Siracusa.

 

 

  1. Angelo Mondo, Le importazioni attiche nei centri anellenici della Sicilia occidentale.

 

La presente relazione vuole offrire un quadro aggiornato circa le importazioni dei vasi attici nei centri anellenici della Sicilia occidentale (aree elimo-punica), contrassegnati negli elenchi del Beazley solamente da sette unità, salite alle duecentosettantotto dello stato attuale delle ricerche.

La trattazione prende le mosse dal ruolo svolto dalla Cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e dall’Archivio Ceramografico dell’Università di Catania, entrambi diretti dal prof. Filippo Giudice, in relazione ad un rinnovato impulso agli studi sul fenomeno storico-commerciale della ceramica attica figurata. E’ sottolineata, successivamente, l’importanza assunta dai centri indigeni riguardo alla possibile presenza in essi dei pittori/gruppi pittorici non “riscontrati”, invece (perlomeno non ancora), nelle colonie costiere loro corrispondenti; nel nostro caso è Selinunte, la grande colonia megarese, ad aver legato le sue sorti politico-commerciali con quelle dei centri anellenici dell’occidente siciliano. Si prosegue, infine, con l’analisi specifica delle realtà pittoriche, tipologico-formali e raffigurative dei vasi presenti nei siti considerati, distribuiti per ciascun venticinquennio dei due secoli (VI-V a. C.) della grande stagione ceramografica ateniese.

 

 

  1. Maria Agata Vicari, La monetazione di Herbessos.

 

La città sicula Herbessos conobbe il momento di maggior splendore nel periodo compreso tra il 357 a. C. ed il periodo successivo al 341 (o 338) a. C., come dimostrato dalla produzione monetale, dalle analisi metrologiche e in particolar modo dalle riconiazioni. La sua localizzazione è da porre nell’attuale Montagna di Marzo, tra Piazza Armerina e Barrafranca, in quanto il ritrovamento di monete nel sito oltre alle somiglianze tipologiche la fanno crocevia tra Gela e Akragas. Alla città sono attribuibili sette serie in bronzo e due nominali in argento, mentre per l’oro non abbiamo attestazioni.

 


 

  1. Elisa Bonacini, Il teatro di Siracusa: le fasi romane.

 

Di difficile esegesi, specialmente nelle fasi precedenti la costruzione ieroniana, tra il 238 a. C. e il 215 a. C., il teatro greco di Siracusa subì sostanziali modifiche in età romana: venne infatti trasformato in un edificio teatrale tipicamente romano con edificio scenico architettonicamente unito alla cavea, una ricca scenae frons a più piani decorata da colonne, pulpitum a nicchie semicircolari e rettangolari alternate, e due fossati per l’aualeum. Ricchi marmi colorati abbellivano il pavimento dell’orchestra. Un portico anulare colonnato ed una stoà ad L in summa cavea sono attribuibili ad età romana piuttosto che a quella ellenistica. Le numerose stratificazioni e le spoliazioni subite nel tempo spiegano le diverse ricostruzioni date dagli studiosi dell’edificio scenico, che daterebbe comunque al tardo I sec. o agli inizi del II d. C. Non c’è accordo nemmeno sull’ipotesi che il teatro fosse stato luogo, in qualche determinata occasione, di ludi anfiteatrali. Tra il III e il IV d. C. l’edificio fu poi adattato a kolymbetra per tetimimi.

 

 

  1. Ileana Contino, L’edificio di Vallone Bagni a Centuripe.

 

Conosciuto e descritto da viaggiatori e letterati dei secoli passati, l’edificio in contrada Vallone dei Bagni a Centuripe è certamente il più enigmatico dei resti monumentali della città romana. Si presenta come un complesso formato da 5 absidi in successione asimmetriche, per una lunghezza di più di m. 30 ed un’altezza di m. 8. A lungo si è discussa la funzione della struttura: alcuni (Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari, Ansaldi, Libertini) lo definiscono “bagno”, dunque considerandolo un complesso termale, altri (Houel, Belvedere, Wilson con maggior cautela) “Ninfeo”. La funzione scenografica sulla valle sottostante ed il confronto con i ninfei a facciata delle città dell’Asia Minore sembrano avvalorare quest’ultima ipotesi. Cronologicamente la datazione oscilla fra l’età Giulio Claudia e la metà circa del II d. C.

 

 

12.  Giuseppina Sirena, La Guglia di Marcello: un monumento funebre nella campagna siracusana.

 

Tra le numerosissime testimonianze archeologiche presenti nel territorio di Siracusa è possibile ammirare i resti di un mausoleo di età romana, che si è conservato quasi intatto nel corso dei secoli. La tomba sorgeva nei pressi dell’antica strada che collegava Siracusa a Catania, ed è simile ad un’altra che sorgeva nel territorio del comune di Carlentini.

I confronti immediati sono con la cosiddetta “tomba di Terone” ad Agrigento e con i mausolei della Tripolitania; con questi ultimi è addirittura possibile stabilire un confronto onomastico. Difficile, se non impossibile, stabilire la committenza dell’edificio.

 

 

13.  Concetta Stefania Caputo, L’acquedotto Cornelio di Termini Imerese.

 

A Termini Imerese, in provincia di Palermo, si possono identificare i resti di un monumento di grande importanza risalente ad epoca romano-imperiale: si tratta dell’acquedotto Cornelio, così chiamato per la presenza di un’iscrizione che fa cenno a questo personaggio. L’acqua che scaturisce dalla sorgente veniva raccolta mediante un sistema di captazione costituito da un serbatoio di raccolta e da una vasca di decantazione; successivamente veniva incanalata in un condotto (specus) che aveva generalmente pendenza costante (censura declivitatis), ma per attraversare le vallate veniva impiegato il sistema dei sifoni. Ad intervalli regolari erano posti pozzetti d’ispezione e vasche di decantazione. La tecnica utilizzata era quella dell’opus caementicium con paramenti in blocchetti di calcare locale. I tubi grossi erano realizzati in terracotta, le condutture periferiche (fistulae) spesso in piombo. Non era trascurata l’opera di impermeabilizzazione dei condotti, realizzata in opus signinum. Le considerazioni tecniche farebbero risalire il monumento al II sec. d. C., riutilizzato fino agli inizi dell’800.

 

 

  1. Grazia Salvo, Alcune note sulla diffusione del cristianesimo a Siracusa nei primi secoli dopo Cristo.

 

Le origini del cristianesimo nella Sicilia orientale e a Siracusa in particolare, non possono ancor oggi essere stabilite con certezza. Gli Atti degli Apostoli riferiscono che Paolo, durante il suo viaggio verso Roma, nella primavera del 61 d. C., si fermò a Siracusa per tre giorni. Per alcuni studiosi, la presenza dell’apostolo, di per sé, testimonierebbe un fatto significativo per la nascita del cristianesimo nella città. Tuttavia, fino all’VIII secolo non si rileva negli autori ecclesiastici alcun cenno relativo all’origine apostolica della chiesa siracusana. Sembra  molto più probabile, invece, che la religione cristiana sia giunta nell'isola seguendo le principali rotte del commercio marittimo tra Oriente e Occidente. Le più antiche testimonianze archeologiche ed epigrafiche che attestano la presenza del cristianesimo in Sicilia risalgono all’inizio del III secolo e testimoniano come il cristianesimo abbia attecchito, in origine, nelle città costiere della Sicilia orientale, tra Catania e Siracusa. La crisi che dal tardo II secolo cominciò ad intaccare l'unità dell'Impero e che costrinse a comunicazioni ridotte e a movimenti ristretti, sembra aver agevolato, successivamente, un processo di consolidamento del cristianesimo il quale, infatti, grazie ad un'evangelizzazione meno estesa ma più intensa poté diffondersi nelle campagne seguendo i percorsi secondari e le arterie minori che mettevano in comunicazione i centri urbani costieri con le vaste zone dell'entroterra rurale.

 

 

  1. Maria Domenica Lo Faro, Le iscrizioni dalla necropoli di Vigna Cassia a Siracusa. Considerazioni generali.

 

Restando in attesa di uno studio adeguato che metta in luce l'intero corpus delle iscrizioni siracusane, si considerano i rinvenimenti epigrafici provenienti dal complesso della necropoli siracusana di Vigna Cassia. Partendo dall’analisi delle caratteristiche testuali di tali iscrizioni, si evidenziano alcuni usi epigrafici che possano fornire elementi utili per proporre una datazione del materiale epigrafico in questione; in base all’esame dei formulari, non si osserva un’omogeneità, piuttosto si possono riconoscere nuclei con caratteristiche più arcaiche, risalenti alla fine del III secolo d.C., che possono essere riconosciuti nel materiale proveniente dalla regione SE di San Diego; accanto a questi, una buona parte delle iscrizioni sembra potersi datare alla prima metà del IV secolo d. C., in considerazione anche di alcune caratteristiche testuali quali la povertà di riferimenti alla provenienza geografica ed alla attività lavorativa del defunto, che si fanno sempre più frequenti dalla metà del IV secolo in poi. Altre iscrizioni, per contro, presentano caratteristiche più recenti, come il sistema definito «moderno» di conteggiare i giorni del mese in sequenza da uno a trenta, che farebbe pensare ad una datazione alla seconda metà del IV secolo. Una datazione più alta sembra confacente ad un gruppo di iscrizioni in cui ricorrono frequentemente diverse formule elogiastiche ed espressioni d'affetto. Infine, il rinvenimento nel vestibolo P di due iscrizioni con formulario piuttosto particolare potrebbe far pensare ad una risistemazione edilizia intervenuta agli inizi del V secolo.

In ultimo, occorre sottolineare come la lettura degli appunti di scavo di Orsi, attualmente inediti, ha chiarito definitivamente il problema della compresenza di elementi pagani e cristiani nella catacomba, sostenuta da alcuni studiosi. I dati sulle condizioni di rinvenimento di due iscrizioni della catacomba di San Diego chiariscono come le lastre con dedica agli Dei Mani sono da considerarsi materiale riutilizzato e quindi non pertinente alle sepolture in questione.

 

 

  1. Tatiana Bommara, Nuove acquisizioni di archeologia cristiana nel territorio di Priolo Gargallo (Siracusa).

 

La carta archeologica della Sicilia paleocristiana si è arricchita, negli ultimi decenni, di una notevole quantità di scoperte, non limitate esclusivamente alle zone urbane. Soprattutto il territorio siracusano, il più vasto e di gran lunga il meglio conosciuto, ha dimostrato di non avere ancora del tutto svelato il suo mondo sotterraneo; ci riferiamo, in particolare, ai numerosi cimiteri rurali disseminati nelle campagne, testimoni della penetrazione, in quest’area, di vaste comunità cristiane che diedero vita ad una fitta rete di centri dislocati prevalentemente lungo il sistema viario tardo-antico. È in tale contesto che s’inseriscono queste nostre segnalazioni riguardo il territorio di Priolo Gargallo, piccolo comune del siracusano situato fra i Monti Climiti e la costa ionica, il cui studio va assumendo proporzioni sempre più ampie e meglio definite, grazie alle scoperte avvenute in tempi recenti, rispetto al quadro generale ipotizzato dall’archeologo trentino Paolo Orsi nel secolo scorso, nonostante l’impossibilità di identificare, dal punto di vista storico, quale sia stato questo centro di vita cristiana, di cui i numerosi sepolcreti costituiscono una prova di indiscussa validità.

 

 

  1. Cristina Pavone, Le terme e la chiesa della Rotonda di Catania.

 

La  Rotonda si presenta come una struttura a pianta quadrata, coperta da una grande cupola estradossata. In essa si inserisce una vasta sala circolare, del diametro di m. 11, con tre grandi nicchie. L’edificio, che faceva parte in origine di un vasto complesso termale, fu trasformato in seguito nella chiesa di S. Maria della Rotonda. Le ricerche, seppure discontinue, sono valse a dimostrare l’originaria destinazione termale, piuttosto che templare, del fabbricato. Soprattutto gli scavi archeologici condotti nel secondo dopoguerra  hanno permesso di esplorare il monumento e l’area circostante. Dall’analisi delle strutture dell’edificio si può tentare di ricostruire la sua complessa storia. Non abbiamo trovato traccia del livello ellenistico-romano di cui parla il Libertini. Alcuni dati tecnici suggeriscono l’appartenenza dell’edificio termale ad una fase compresa tra il medio e il tardo impero. In età medio-imperiale la struttura doveva essere ancora un frigidarium, solo in epoca tardo-imperiale, con la realizzazione dell’impianto di riscaldamento ad ipocausto, l’edificio  fu convertito in calidarium. Più difficile è stabilire il momento della trasformazione delle terme in edificio cristiano. In questa fase furono colmate le vasche all’interno delle tre nicchie maggiori, lasciando sussistere i parapetti e facendo poggiare sull’orlo di essi il nuovo pavimento; la nicchia di settentrione fu trasformata radicalmente creando un presbiterio e un’abside. È possibile che la trasformazione in chiesa della Rotonda sia da ascrivere alla rinascita bizantina in età normanna. Senza dubbio l’esecuzione del complesso ciclo di affreschi che decorava le pareti della chiesa, di cui poco ora rimane, è inquadrabile nel XIII secolo, e intorno alla stessa epoca risale la trasformazione dell’apertura ovest in un arco a sesto acuto.

 

 

  1. Giuseppe Cacciaguerra, Archeologia dei cimiteri urbani Alto-medievali di Siracusa. Stato attuale e prospettive di ricerca.

 

Il presente lavoro tenta di fornire un resoconto sulle emergenze cimiteriali alto-medievali di Siracusa, cercando di portare nuovi dati dallo spoglio critico della bibliografia e delineando, con le altre evidenze cimiteriali urbane della Sicilia sud-orientale (Cittadella di Noto e Kaukana), un quadro preliminare sul fenomeno cimiteriale alto-medievale dell’area iblea. Le deficienze incontrate nel corso dello studio, causate dalla presenza diffusa di studi datati e di grandi carenze teoriche e metodologiche nello studio dei cimiteri, hanno consegnato oggi una documentazione insufficiente e frammentaria. Si è comunque tentata una classificazione dei cimiteri (ambiente urbano, suburbano ed extraurbano) e una cronologia del loro utilizzo, con lo scopo di acquisire dati su problemi specifici come l’ingresso delle tombe in città o la continuità fino al medioevo delle aree sepolcrali di età classica.

 

 

  1. Cristina Gianino, Il contributo di Mario Mentesana alla conoscenza del territorio di Augusta.

 

Mario Mentesana (1909-1985), ferrarese di nascita, trascorse ad Augusta, in Sicilia, gli ultimi trent’anni della sua vita. Spirito acutissimo e critico, fu da sempre interessato alle problematiche inerenti alla storia e alla preistoria del territorio della sua città di elezione. L’articolo si propone di portare a conoscenza degli studiosi il suo contributo, costituito da numerose pubblicazioni e scoperte, per le quali ebbe la nomina di Ispettore Onorario ai Monumenti dal 1965 al 1973. Dopo qualche breve cenno biografico vengono delineate le principali scoperte (villaggio e tomba del Neolitico alla Gisira, stazione protostorica del Vallone Maccaudo, giacimento del Paleolitico Superiore di Monte Amara, stazione neolitica di Campolato, castelliere su sperone roccioso sul fiume Marcellino) e localizzazioni (necropoli di Muragliamele, villaggio fortificato del Petraro, giacimenti del Pleistocene a S. Cusumano, riparo di Punta Castelluzzo) che rimangono ancora oggi degli importanti punti di riferimento per lo studio della preistoria siciliana. Sono segnalati i principali ritrovamenti, gli scavi e le più rilevanti pubblicazioni, in particolare gli articoli apparsi sul Notiziario Storico di Augusta  (dal 1967 al 1987) e il volume Storia di Brùcoli (1979). Il suo contributo venne giustamente apprezzato da Luigi Bernabò Brea,  Luigi Cardini, Georges Vallet.